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In Etiopia, dove il miele "nasce" sugli alberi

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Coinvolgere gli apicoltori in ogni fase della filiera del miele, valorizzando le tradizioni locali ma anche guidandoli nel miglioramento è la sfida, riuscita, di Emebet Dejene e del suo Majang Honey, puro miele biologico d’Etiopia.

Volgere lo sguardo al di fuori dei nostri confini, per incontrare persone e progetti che condividono la consapevolezza di far parte di un unico ecosistema che abbraccia il Pianeta intero: è quello che cerchiamo di fare attraverso le nostre notizie, raccontandovi spesso le storie più vicine a noi, ma talvolta anche quelle che arrivano da più lontano. Come nel caso della storia di Emebet Dejene, una vita trascorsa tra l’Olanda – che l’ha accolta – e l’Etiopia dov’è nata e dov’è ritornata con un progetto che punta a valorizzare una delle più grandi risorse del paese africano: il miele. Sì, perché l’Etiopia – pur essendo un importante produttore di miele – arriva a importarlo dalla Cina a causa delle difficoltà di approvvigionamento e trasporto dalle aree rurali alla capitale, Addis Abeba: il miele locale quindi non trova uno sbocco sul mercato del Paese, con la conseguenza che questa importante risorsa va sprecata. È proprio per colmare questo gap tra produzione e commercializzazione del miele – ma anche di altri prodotti agricoli – che a Emebet è stato chiesto, dopo anni in Olanda, di rientrare nel suo Paese che, anni prima, si era trovata a dover abbandonare per questioni politiche legate al suo impegno per i diritti civili in un momento critico per la storia dell’Etiopia. “Non avrei mai pensato di tornare”, racconta, “ma avevo avuto così tanto – una bella vita, un buon lavoro, una famiglia – che ho sentito di dover dare un contributo allo sviluppo del mio Paese”.

In Etiopia il miele “nasce” sugli alberi

Con l’obiettivo di migliorare le condizioni commerciali degli agricoltori, Emebet si ritrova a viaggiare per tutto il Paese, fino alla riserva di Majang, in prossimità della UNESCO Biosphere Reserve, situata nell’area afro-montana sud-Occidentale dell’Etiopia, all’interno della regione di Gambella. Qui ancora sopravvivono ecosistemi naturali autoctoni, con grandi alberi, particolarmente favorevoli per le api e per la produzione del miele.

L’apicoltura etiope è infatti un’apicoltura di foresta, che viene praticata sulle chiome di imponenti alberi tropicali, lontano dai centri abitati. Si tratta di un lavoro faticoso, svolto generalmente dagli uomini, che si arrampicano sugli alberi per issare questi alveari giganteschi, molto pesanti, realizzati in legno scavato al loro interno. A differenza di quanto accade da noi – dove non esiste più una popolazione di api selvatiche – lì ci sono ancora moltissime api selvatiche che entrano da sole negli alveari. Una volta che si sono formati i favi, è necessario salire nuovamente sugli alberi per tirare giù gli alveari, un lavoro molto complesso. In passato il governo, insieme ad alcune ONG, ha fornito agli apicoltori alveari moderni che si sono rivelati tuttavia difficilmente adattabili sia alle caratteristiche del luogo che a quelle delle api. Le arnie, ad esempio, avrebbero dovuto essere adattate alle dimensioni dell’ape africana, molto più piccola rispetto a quella europea.

Un miele biologico di qualità

Oltre a favorire la commercializzazione del miele sul mercato locale, Emebet – collaborando attivamente con la popolazione nativa Majang – ha dato vita a una realtà che punta a salvaguardare le api, preservando la biodiversità caratteristica di questo ecosistema, ma migliorando nel contempo gli aspetti di gestione delle arnie. A questo riguardo, tra le criticità del miele etiope vi è in primo luogo il fatto che viene raccolto quando è ancora umido, a causa delle tecniche di apicoltura tradizionale che non permettono di ispezionare l’arnia per verificare, al momento della raccolta, il suo grado di maturazione.

Inoltre, l’apertura delle arnie deve essere effettuata di notte, a causa dell’aggressività delle api, utilizzando per stordirle grandi quantitativi di fumo, il quale impregna sia la cera che il miele. Coinvolgendo gli apicoltori anche riguardo alle richieste del consumatore, e mettendo insieme le loro competenze con quelle di Emebet – che ha offerto loro formazione e supporto – è stato possibile avvicinare gli alveari alle case, così da poter coinvolgere anche le donne nella filiera del miele e rendere più facile l’ispezione degli alveari, diminuendo la quantità di fumo utilizzata al momento dell’apertura delle arnie. In controtendenza rispetto al classico approccio del mercato etiope, orientato soprattutto ai grandi volumi , Emebet ha scelto di preferirne uno di tipo qualitativo, anche attraverso l’impiego del metodo biologico, orientato al miglioramento della qualità del prodotto anziché alla massimizzazione dei volumi.

Un’impresa sociale

Non estrarre ricchezza dagli apicoltori, ma coinvolgerli in tutta la filiera, fungendo da ponte tra produttori e consumatori: oltre ad avere una relazione diretta con gli apicoltori, Emebet segue la logistica che trasferisce il miele ad Addis Abeba, dove gestisce un laboratorio di trasformazione e confezionamento e la vendita sul mercato locale. Per farlo, ha dato fondo ai suoi risparmi, realizzando ciò che in Italia definiremmo un’impresa sociale (formula per il riconoscimento della quale si sta lavorando anche in Etiopia, dove finora non è stata ancora legalmente configurata), che si ispira al concetto di “social business” teorizzato da Muhammad Yunus, ossia un business creato non per far diventare l’imprenditore ricco, ma per risolvere un problema sociale e per fare del bene alla comunità. Per Emebet l’obiettivo del futuro è infatti quello di rafforzare sempre più il coinvolgimento degli apicoltori in ogni fase della produzione del miele, migliorandone la qualità e favorendone la distribuzione sul mercato locale, contribuendo nel contempo a sviluppare e diffondere un nuovo modo di fare impresa, che possa essere d’esempio per molte altre realtà del Paese.

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