Concepire la sostenibilità come un percorso articolato, dalle molteplici sfaccettature, è fondamentale per ripensare il turismo in un’ottica più consapevole. Ne abbiamo parlato con Teresa Agovino, ingegnere ambientale e consulente per il turismo sostenibile, nonché fondatrice della startup Faroo, tour operator di esperienze e viaggi a impatto positivo, perché “non possiamo evitare di lasciare impronte, ma possiamo scegliere come farlo”.
Amo viaggiare: il viaggio è parte integrante della mia vita e non potrei farne a meno. Con il turismo sostenibile riesco a unire il mio desiderio di viaggiare con la missione interiore di non generare impatto negativo. Un binomio per me assolutamente perfetto. Subito dopo la laurea ho iniziato a lavorare nell’ambito della cooperazione internazionale e, vivendo tra Tanzania, Sud Est Asiatico e Sud America, mi sono resa conto che l’impatto del turismo sulle comunità locali è un tema veramente molto importante, non trascurabile. Ho cercato quindi di mettere a sistema le mie competenze e valutare come utilizzarle per supportare le comunità locali. Attraverso un percorso fatto con le Nazioni Unite, sono diventata auditor di terza parte, ovvero quella persona che si reca a verificare se una struttura o un’attività turistica è veramente sostenibile. E, nel caso lo sia, rilascia la certificazione, sempre per enti internazionali di certificazione riconosciuti dalle Nazioni Unite. Poi ho lavorato come consulente per il turismo sostenibile in giro per il mondo e, ritornando in Italia durante la pandemia, ho fondato la mia startup con l’obiettivo di rendere il turismo uno strumento per la creazione di un impatto positivo. Mi definisco un’artigiana della sostenibilità, perché “cucio” i progetti sulla base dell’esigenza del territorio. In aggiunta, sui social – in particolar modo su Instagram – divulgo la sostenibilità, raccontandone le tematiche e rendendole un po’ più semplici: mi piace accompagnare le persone in un percorso verso una maggiore consapevolezza.
Ogni viaggio, per qualche ragione, mi è rimasto nel cuore. Dovendo scegliere, direi sicuramente il viaggio in Tanzania nell’ambito della cooperazione internazionale, perché è anche quello che mi ha fatto capire con totale chiarezza quale fosse la mia missione: utilizzare le mie competenze e metterle a servizio della comunità locale. Il Sud America, invece, mi ha colpito per quel suo aspetto un po’ latino, caldo, di contatto con la popolazione e con l’immensità della natura: mi ha trasmesso tanto anche e soprattutto in termini energetici di contatto con la terra e con quella che loro chiamano la Pachamama. ll Sud Est Asiatico mi ha colpito per un altro aspetto, ossia quello del rispetto nei confronti dell’altro.
Per molto tempo il concetto di sostenibilità è stato legato quasi esclusivamente all’aspetto ambientale, mentre comprende molti ambiti correlati. È un percorso che abbraccia diversi aspetti: da quello ambientale a quello economico; da quello sociale a quello culturale. Com-prende anche un tema di accessibilità, intesa nelle sue diverse forme, non solo per chi non ha capacità motorie allineate a quelle che noi definiamo come “normali”, ma anche per coloro che hanno esigenze diverse in termini di parità di genere.
Dipende molto dai territori e dalle diverse sfaccettature della sostenibilità. In Costa Rica, per esempio, viene incentivato l’ecoturismo legato alla protezione della biodiversità, in Sud America quello di contatto con le popolazioni locali, in particolar modo nella foresta Amazzonica, mentre nel Sud Est Asiatico soprattutto quello culturale o di relazione con le minoranze nella zona montuosa. I paesi del nord Europa, per esempio, abbracciano molto l’aspetto di accomodation sostenibili, ossia strutture realizzate secondo i criteri della bioedilizia, efficientate del punto di visto energetico.
Lì dove agisce l’overtourism (sovraffollamento turistico), e quindi la presenza massiva di turisti, si perde l’identità culturale, si perdono le tradizioni, non c’è motivo di valorizzare la lingua locale, di coinvolgere la popolazione in percorsi turistici e si perde quindi quell’humus sociale-culturale del territorio. Non sempre si riesce a mettere a fuoco questa correlazione, ma esiste: se noi, per esempio, facciamo un safari etico, supportiamo la popolazione la quale, dunque, ha un guadagno che permette alle famiglie di mantenere i loro figli, di garantire loro cibo ma anche un’istruzione adeguata. Questo si può declinare in ogni contesto, perché se noi permettiamo alla popolazione locale di vivere di turismo, sarà una fonte di introito positivo, che permetterà loro di vivere meglio, in maniera più dignitosa.
Dipende molto dalla destinazione, ma in generale una buona pratica, molto semplice, è quella di ridurre il peso del proprio bagaglio. Quindi, viaggiare leggeri, perché in fondo ogni kg in più nello zaino o in valigia significa maggiori emissioni di CO2 per ogni mezzo di trasporto scelto. Sembrerà banale, ma il peso ha comunque un impatto importante. Provare a scegliere accomodation (strutture ricettive) e attività gestite dalle comunità locali, evitando quanto più possibile le intermediazioni o, comunque, scegliendo intermediari che prevedano che buona parte degli introiti dei tour operator cui ci affidiamo siano destinati alle comunità locali. E poi scegliere l’artigianato locale per souvenir e prodotti dal mondo, un’industria molto florida soprattutto nel Sud del mondo. Insomma, godere del viaggio in una dimensione di contatto con le persone.
Sicuramente vorrei ritornare in America Latina: prima della pandemia avrei dovuto andare in Argentina, ma poi il viaggio è saltato. Oggi – anche quando viaggio per me stessa e non per lavoro – non sono spensierata come potevo essere 10 anni fa, però continuo a godere della dimensione di contatto con le persone. Il biglietto d’andata, insieme al primo alloggio, li ho sempre: per il resto no, mi apro a quello che succede. E poi accadono sempre cose stupende.
Ascolta Teresa Agovino anche su Laboratorio 2050, il podcast di NaturaSì, disponibile su Spotify, Apple Podcast e Google Podcasts