Tra gli obiettivi che NaturaSì si è data nel contesto del suo impegno per la sostenibilità, in tutte le sue declinazioni, vi è anche quello di aumentare, all’interno di ciascuna azienda agricola che fa parte del suo ecosistema, la superficie destinata a salvaguardia e incremento della biodiversità. Come? Promuovendo l’adozione di pratiche – quali la rotazione delle colture, la riscoperta di sementi antiche, lo sviluppo di aree dedicate alla flora e alla fauna locali – che trasformino l’agricoltura, rendendola uno scrigno per la conservazione di specie animali e vegetali come ci spiega il tecnico faunista Fabio Dartora.
Se la biodiversità sta bene, l’uomo sta bene. C’è un’agricoltura che può contribuire attivamente alla conservazione delle specie e degli habitat: un’agricoltura che non usa pesticidi e fertilizzanti chimici di sintesi, che garantisce la rotazione delle colture con una grande varietà di specie coltivate. A guadagnarci siamo tutti: agricoltori e consumatori. Ci siamo appropriati di uno spazio che non era il nostro e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. È ora di ristabilire il naturale equilibrio della natura. Attualmente possiamo stimare che, dei 32.000 ettari delle 300 aziende agricole fornitrici di NaturaSì, le aree di natura coprono già il 19% della superficie. Se mettessimo assieme tutte le siepi che attraversano e delimitano i campi, si coprirebbe la stessa distanza che c’è tra Roma e Trieste: 670 chilometri. Inoltre, il 50% di queste aziende dedica spazio specificamente alle aree umide e il 29% ha al suo interno o ai suoi confini un’area protetta. Inoltre, il 26% ospita specie rare o in declino (animali e vegetali) e l’83% garantisce la presenza di diversi habitat.
Nelle aziende produttrici biologiche le coltivazioni sono ben diversificate, rendendole così importanti custodi di molteplici varietà di frutti, orticole e seminativi: un ruolo importantissimo per non perdere la cultura territoriale che contraddistingue le varie regioni. Ma il ruolo dell’azienda agricola è fondamentale anche nel conservare gli ambienti destinati alle specie autoctone, che trovano nel comparto agricolo il loro habitat, anche nel caso di quelle talvolta considerate “dannose”, adottando la tecnica delle specie antagoniste. Spesso si sente parlare della fauna selvatica in agricoltura solo per i danni che reca. In questo caso si intende un numero elevato di animali appartenenti a poche specie: sono un esempio i cinghiali, che recano danno ai seminativi, le lepri che possono danneggiare le essenze orticole o gli uccelli, potenzialmente dannosi per i frutteti.
Attraverso gli interventi di miglioramento ambientale, invece, si creano le condizioni per aumentare il numero di specie animali che generano un equilibrio dell’ecosistema. Un esempio è dato dagli insetti impollinatori, ossia tutti quegli insetti che – cercando il nettare nei fiori – trasportano il polline da un fiore all’altro, garantendo il successo riproduttivo della pianta e la conseguente produzione di frutti e semi. Gli insetti impollinatori sono responsabili della produzione di un terzo del nostro cibo, ma non solo: sono alla base di una rete trofica complessa che garantisce la presenza di insetti predatori e molti vertebrati, tra cui uccelli, mammiferi, rettili e anfibi. Questo genera a sua volta una florida comunità vivente che garantisce l’equilibrio di un ambiente sano e vitale.
NaturaSì, grazie al progetto LIFE PollinAction, nei prossimi due anni potrà aumentare ulteriormente le superfici dedicate alla biodiversità di 10 aziende agricole: LIFE PollinAction ha lo scopo di contrastare la crisi dell’impollinazione, incrementando il ruolo degli insetti impollinatori in ambienti rurali e urbani. Il progetto si articola in numerose azioni finalizzate alla creazione e al miglioramento di habitat per insetti impollinatori, al monitoraggio dell’efficacia delle azioni, alla comunicazione e alla divulgazione dell’importanza di tutelare tutti gli insetti che ad oggi sono in diminuzione ma sono fondamentali nel panorama ambientale. LIFE PollinAction viene realizzato in Italia nelle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia e in Spagna nella regione di Aragona.
Il progetto, iniziato nel 2020 e in chiusura nel 2025, vuole aumentare l’eterogeneità del paesaggio attraverso la creazione di un’infrastruttura verde (Green Infrastructure, GI), cioè una rete di aree naturali e seminaturali pianificata a livello strategico con altri elementi ambientali, progettata e gestita in maniera da fornire un ampio spettro di servizi con l’arricchimento dei prati a fiore. Alla fine del progetto si vedrà un consistente aumento della superficie dedicata alla biodiversità pari a 4.523 metri di siepi, 91.930 metri quadrati di prato a fiore, 140.978 metri quadrati di bordure mesofile perenni, 2.026 metri quadrati di bordure igrofile perenni, 1.264 metri quadrati di nuclei arbustivi. Questi interventi creeranno le condizioni per l’insediamento di un gran numero di specie di invertebrati, rendendo l’agricoltura un’oasi di vita generatrice di equilibrio. Tutto questo faciliterà anche la presenza di specie antagoniste di altre specie potenzialmente invasive.